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Sempre più di frequente una rapida occhiata a un campo coltivato ci restituisce un’armonia di fiori e colori vivi e accesi: non è solo una scelta estetica, bensì una pratica che serve un nobile scopo, quello di integrare la produzione allo sviluppo di un habitat che rispetti e valorizzi la biodiversità. La consulente Annik Dollacker, in un’intervista rilasciata a European Seed, parla della sua ricerca su questo tema, pubblicata in versione integrale nell’articolo “Dually beneficial habitats serve as a practical biodiversity mainstreaming tool in European crop production”.
La ricercatrice afferma che l’installazione di strisce di fiori costituisce la misura più popolare e immediatamente riconoscibile messa in atto nei campi, ma non è la sola possibile. Gli studi finora si sono concentrati sui criteri estetici e sui benefici relativi a specifiche specie, mentre mancano delle considerazioni sull’impatto per l’ambiente agricolo nel suo complesso. Appurato lo stato dell’arte di partenza, Dollacker ha accolto nel suo progetto di ricerca i contributi di studiosi provenienti da diverse discipline, dall’agricoltura in senso stretto alla produzione e protezione delle colture, di paesaggisti ed esperti di servizi per l’ecosistema. Una volta presa in esame la letteratura esistente su un’ampia gamma di misure di miglioramento ecologico, sono state individuate quelle che apportano valore alle aziende, oltre ai già citati benefici per la biodiversità. A tal fine, i ricercatori si sono concentrati su misure facilmente attuabili ai principali seminativi (i cereali, compresi granturco, colza, girasole e soia), che rappresentano il 72% dei terreni coltivabili europei, e sull’impatto delle misure sulla produzione vegetale e sui servizi agro-ecosistemici pertinenti (fertilità del suolo, impollinazione, lotta contro i parassiti).
Il paper ha individuato le misure che possono sostenere la fornitura di tali servizi, da cui dipende una gestione delle colture caratterizzata da un rapporto costi-benefici accettabile in termini di resa e redditività dell’azienda. Se le misure a beneficio della biodiversità fornissero nel tempo vantaggi reciproci per la produzione e per la resilienza ecologica, gli agricoltori sarebbero più facilmente incoraggiati a incrementarle. Questa svolta porterebbe alla nascita di paesaggi più resilienti e differenziati, soprattutto in quelle aree di coltivazione in cui gli habitat semi-naturali o non seminativi sono limitati, condizione molto diffusa nell’Unione europea, dove il paesaggio è dominato dalle modifiche apportate dall’uomo. Le singole azioni dovrebbero però essere integrate in piani regionali, attraverso un intervento collettivo che coinvolga attori pubblici e privati. La conservazione della biodiversità e la produzione alimentare devono andare di pari passo, non possono procedere con azioni singole e parallele.
Il paper di Dollacker elenca quaranta tipi di habitat, divisi in quattro gruppi (campi non seminati, campi seminati, zone floreali e aree periferiche coltivate) che soddisfano i seguenti requisiti: sono vantaggiosi per più specie, apportano potenziali benefici per la fertilità del suolo, sono facilmente gestibili e convenienti in termini di costi. Questa suddivisione in gruppi facilita la comunicazione con gli agricoltori, ma non è assoluta. Per instaurare una relazione di dialogo proficuo con questi ultimi, è necessario tener conto del loro know-how e delle loro esigenze economiche, promuovere argomentazioni basate su evidenze scientifiche e ispirarli così a intraprendere azioni che integrino biodiversità e produzione.
Il settore sementiero, infine, risulta fondamentale per la creazione di questi habitat vantaggiosi. La produzione di sementi è una coltura ad alto valore, alcuni produttori hanno già adottato le strisce di fiori per mantenere le colture vigorose e sane. Inoltre, in questo ambito sono stati sperimentati dei mix di sementi di copertura di diversi livelli di valore, a beneficio della biodiversità e della produzione. Sarà il tempo a dirci quanto è perfezionabile la loro efficacia, che dovrà anche essere misurata in relazione alle nuove esigenze di adattamento ai cambiamenti climatici.
Photo by Raquel Pedrotti on Unsplash