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Intervista al professor Giorgio Chiusa – Docente DI.PRO.VE.S (Dipartimento di Scienze delle produzioni vegetali sostenibili) – Università Cattolica del Sacro Cuore.
- Quali sono le principali attività del laboratorio di Patologia del Dipartimento di Scienze delle Produzioni Vegetali Sostenibili in cui opera?
Il laboratorio DI.PRO.VE.S., Area di Patologia Vegetale della Facoltà di Agraria dell’Università Cattolica del Sacro Cuore ha sede a Piacenza, e storicamente esercita la sua attività in riferimento alla diagnosi di tutte le patologie su varie specie botaniche e matrici, siano esse di origine organica e inorganica. Quello dedicato al seme è certamente uno dei settori di maggiore rilevanza e interesse.
- Che tipo di seme vi arriva dalle aziende sementiere? È un prodotto già sottoposto a sanificazione?
Da molti anni ormai le aziende del settore orticole professionali forniscono un seme dalle caratteristiche tecnologiche a elevato standard qualitativo e, in molti casi, il seme viene sanificato e analizzato nei paesi produttori prima della spedizione. Al suo arrivo viene in ogni caso assoggettato a cernita, calibrato, rasato e privato di gran parte della copertura esterna. Il virus ToBRFV, come dimostrato da numerosi studi, è localizzato all’esterno del seme, precisamente sui tegumenti seminali, così come del resto è per altri virus appartenenti ai Tobamovirus. Il seme viene reso dunque liscio per facilitare le operazioni di semina diretta in alveolo e per le successive operazioni di preparazione del seme prima della vendita (concia e/o pillolatura); anche i trattamenti di sanificazione in genere vengono ripetuti, con sostanze chimiche di sintesi o loro miscele, una prassi ormai comune per le aziende. Il personale del laboratorio, per evitare l’insorgere di problemi potenzialmente incompatibili con i protocolli ufficiali di diagnosi al momento dell’estrazione, richiede sempre a chi effettua i campionamenti di fornire seme non pillolato né conciato in alcun modo.
- Può fornirci una panoramica sullo stato dell’arte sulla problematica ToBRFV, il virus che colpisce e distrugge intere coltivazioni di pomodoro?
Da qualche anno siamo ormai chiamati a convivere con le difficoltà e i danni che il Tomato Virus causa agli operatori dell’orticoltura e del commercio. Sin dalle prime manifestazioni ci si è a lungo interrogati sulle origini del virus e sulle cause della diffusione, spesso attribuendo responsabilità ingiuste agli attori della filiera, nonostante l’impossibilità di accertarle tramite verifiche tecniche. Oggi possiamo contare su indicazioni più chiare, che provengono direttamente dai dati e dal monitoraggio della malattia elaborati dai Servizi Fitosanitari Regionali e dai Laboratori Accreditati, che lavorano in sinergia con le aziende che si occupano della produzione e della commercializzazione del seme.
- Rispetto al ToBRFV, quali azioni avete messo in campo e quali risultati avete ottenuto?
Dopo questi primi anni di monitoraggio del virus ToBRFV, condotto su seme di pomodoro e di peperone di varie tipologie – cui è seguita l’analisi di circa 600 lotti di seme a trimestre, provenienti da varie aree geografiche di produzione, Italia compresa – sinora non vi è stato alcun riscontro positivo e tutti i lotti di seme analizzati erano esenti dal virus. All’attività di prevenzione ne affianchiamo una di accertamento analitico sia nelle colture in serra sia in pieno campo: da quest’anno, per volontà del Consorzio Interregionale Ortofrutticoli, si è proceduto al campionamento e alle analisi per ToBRFV nei vivai ad esso conferenti. Tutte le partite di piantine di pomodoro da industria prodotte e assegnate alle aziende produttrici sono state analizzate durante le 10 settimane circa di trapianto. Questa operazione è stata senza dubbio importante, poiché finora non eravamo in possesso di dati di questo tipo, e anche in questo caso non è stato rilevato alcun riscontro positivo. In ogni caso, è importante rassicurare gli operatori sul fatto che il pomodoro da industria per sua natura non è assoggettato a molte operazioni manuali, per cui il rischio connesso alla produzione del seme è ampiamente ridotto.
- Qual è la cornice normativa entro cui si pianificano le attività? Il legislatore europeo ha definito delle linee guida?
Il Regolamento d’esecuzione 2020/1191 della Commissione europea dispone che tutti i lotti di seme posti in commercio o movimentati nell’Unione Europea siano sottoposti ad analisi, anche quelli destinati al breeding. Lo stesso vale per tutto il seme importato. Tale obbligo di analisi è esteso anche alle piante madri da cui è prodotto il seme. Vi sono inoltre precise istruzioni sulle metodologie da adottare nella fase campionamento e di analisi, ritenute più performanti nella diagnosi di ToBRFV.
- Quali sono le misure preventive che finora si sono dimostrate più efficaci?
La prevenzione da parte delle aziende di orticole professionali parte, sin dalle prime generazioni, dal trattamento e dagli accertamenti analitici sul seme dei parentali avviati alla produzione di seme commerciale.
La prevenzione da agenti patogeni è possibile eradicando le colture colpite, e in questo il ToBRFV non fa eccezione: i diversi casi della provincia di Cuneo e di quella grossetana nel 2020, ma anche in Germania, in Austria e in Svizzera, dimostrano che il patogeno si è potuto considerare eradicato dopo distruzione della coltura e sanificazione. Ma consigliare interventi risolutivi in realtà ampiamente compromesse, ove pomodoro e peperone vengono coltivati a un ritmo frenetico con pochissime altre colture in avvicendamento, è chiaramente complicato. Eppure, per garantire alla filiera un futuro più sereno è indispensabile individuare in via prioritaria le criticità che pesano maggiormente nella progressione della malattia, in attesa che i breeders riescano a fornire genotipi con elevato grado di resistenza al virus (HR).
- Per quanto concerne i fattori di rischio, sono chiare le maggiori criticità?
I più importanti fattori di esposizione dipendono da due variabili, la coltivazione e l’ambiente: dalle colture di pomodoro e peperone che si avvicendano in rapida successione, al personale addetto alle operazioni non abbastanza formato sulla prevenzione, fino ai residui colturali infetti che rimangono a terra. Inoltre alcune tipologie di pomodoro hanno maggiore predisposizione. Ma altre criticità possono subdolamente insidiarsi e creare l’infezione, come i materiali inerti e non impiegati nella coltivazione e nella lavorazione finale del prodotto, imballaggi riciclati, ma soprattutto la presenza di piante infette all’interno della serra, fonte di inoculo pericolosa per tutto il ciclo.
- Quali sono le indagini preliminari che aumentano la possibilità di intercettare il virus?
Buona norma è quella di monitorare la coltura in atto con osservazioni e analisi, molto prima della manifestazione conclamata dei sintomi, già iniziando quando le piante mostrano sintomi leggeri, di dubbia interpretazione o sono addirittura asintomatiche. Naturalmente particolare attenzione meritano quelle colture ospitate in serre e terreni che durante i cicli precedenti hanno manifestato problemi di ToBRFV o di cui non abbiamo dati in merito a causa di un monitoraggio mancato.
- In sintesi, si può affermare che il monitoraggio costante servirà, oltre a contenere le infezioni, anche a comprendere in quale momento c’è più sensibilità?
Certamente. Il tracciamento aiuterebbe a individuare a quale componente del processo produttivo è associato il maggior grado di rischio ai fini della progressione dell’epidemia. Inoltre, il monitoraggio e il raffronto continuo con dati inediti ci guida nella scelta delle priorità in termini di prevenzione. Per mettere in atto tutto questo è importante evidenziare quanto la strategia più lungimirante presupponga sempre la stretta collaborazione tra aziende produttrici, Enti pubblici preposti e aziende e laboratori fornitrici di prodotti e servizi.
Photo by Markus Spiske on Unsplash